Ragno Coccinella (Eresus kollari), Lichene delle renne (Cladonia portentosa), Panico bianco (Corynephorus canescens): nomi evocativi, che rimandano a una cultura con uno stretto rapporto con il territorio. Specie oggi minacciate o in estinzione, che popolano un habitat dal nome poco noto, “Corineforeti” (H2330), ma che identifica un paesaggio molto familiare a chi ha viaggiato in provincia di Pavia: i dossi sabbiosi della Lomellina.
Anche i corineforeti, oltre a brughiere (H4030) e praterie aride (H6210), sono tra gli habitat oggetto degli interventi di restauro che il progetto LIFE Drylands dell’Università di Pavia (Dipartimento di Scienze della Terra e dell’Ambiente, direzione scientifica di Silvia Assini) sta portando avanti dal 2019 in 8 siti Natura 2000 in Piemonte e Lombardia, con l’obiettivo di ripristinare gli habitat delle zone aride a rischio e produrre linee guida per la loro conservazione e futura gestione.
Nell’Habitat 2330 in particolare, presente su dossi sabbiosi (in Lomellina) e su depositi sabbioso-ciottolosi fluvio-glaciali (nei siti Ansa di Castelnovate e Valle del Ticino), troviamo specie erbacee tra cui Corynephorus canescens, Rumex acetosella, Teesdalia nudicaulis, Filago minima, tipiche croste biologiche del suolo ricche di licheni terricoli appartenenti perlopiù al genere Cladonia, tra cui la rarissima Cladonia portentosa (“Lichene delle renne”), e numerose specie animali tra cui l’Eresus kollari o Ragno Coccinella, in via di estinzione.
I dossi o sabbioni di Lomellina, formazioni di sabbia fluviale modellata dal vento che da sempre caratterizzano il paesaggio fluviale della pianura, oggi sono quasi del tutto scomparsi, spianati per fare posto a zone agricole.
Le Drylands (zone aride) sono poco note al grande pubblico: non adatte alle attività agricole, spesso sono abbandonate oppure, se tutelate, restano fuori dai canonici percorsi di trekking. Occorre quindi sensibilizzare il pubblico riguardo alla necessità di tutelarne la biodiversità.
Si tratta di habitat fortemente degradati, sia per la perdita e la frammentazione dovute alle attività antropiche, sia per l’incuria e l’inquinamento, e molte delle specie vegetali e animali sono a rischio.
Un habitat impoverito è un rischio per il territorio, che diventa più vulnerabile a eventi estremi (quali ad esempio bombe d’acqua, ondate di calore, inondazioni, diffusione di patogeni). È quindi fondamentale ripristinarlo, per evitare gravi rischi per la salute di piante, animali e anche dell’uomo.
Il 2023 sarà dedicato in modo particolare al monitoraggio post-intervento nei siti di progetto. Con l’inverno 2023, si sono infatti concluse tutte le azioni di restauro degli habitat (sfalci delle erbacee, tagli delle specie legnose, rimaneggiamenti del substrato con le tecniche di sod-cutting e di top-soil inversion, messa a dimora delle specie erbacee tipiche degli habitat 2330, 4030 e 6210).
I dati raccolti saranno confrontati con quelli del monitoraggio effettuato prima degli interventi, che hanno permesso di rilevare complessivamente nell’habitat 2330: 69 specie vascolari, 8 specie di licheni, 6 specie di muschi, 7 specie di Carabidi, 13 specie di farfalle.