Uno studio internazionale, i cui risultati sono appena stati pubblicati su «Nature Geoscience»*, ha analizzato un’inclusione multifase all’interno di un diamante super profondo (nell’immagine di apertura) e ha scoperto la presenza di ringwoodite, periclasio ed enstatite. Si tratta della prima evidenza diretta di una tale associazione in un’unica inclusione e conferma quanto si aspettavano i geologi da esperimenti di laboratorio volti a comprendere la composizione e la struttura mineralogica delle regioni più profonde e inaccessibili della Terra. Questo diamante proviene, infatti, dall’incredibile profondità di 660 km, il cosiddetto confine tra la zona di transizione terrestre e il mantello inferiore.
Le conoscenze dirette sulla composizione chimica e mineralogia della Terra si fermano a pochi chilometri dalla superficie, vista l’impossibilità di perforare a profondità maggiori.
Per capire cosa ci sia nella parte più interna del nostro pianeta gli scienziati conducono esperimenti di laboratorio, producendo minerali sintetici in condizioni di alta temperatura e pressione per simulare le condizioni presenti nei livelli più profondi della Terra. Tuttavia, questo approccio ha il limite di non riuscire a prendere in considerazione le trasformazioni avvenute nel corso di milioni di anni e le interazioni con l’ambiente circostante.
Un modo che consente di arrivare – virtualmente – dove nessuno è mai stato prima, è lo studio dei diamanti e in particolare delle inclusioni intrappolate al loro interno. In quanto chimicamente inerti, i diamanti possono avvolgere veri e propri frammenti di minerali e, sorprendentemente, proteggerli dalle modificazioni chimiche dell’ambiente circostante quando vengono portati sulla superficie terrestre.
I diamanti super profondi, quelli che provengono da profondità di almeno 300 km nel mantello terrestre (alcuni si pensa raggiungano addirittura 1.000 km), sono testimoni ancora più preziosi perché possono portare informazioni riguardo una parte cruciale dell’interno del nostro pianeta, il confine tra la zona di transizione e il mantello inferiore.
Il primo punto di svolta è stato nel 2014 quando un diamante super profondo ha rivelato per la prima volta la presenza del minerale ringwoodite, [(Mg,Fe)2SiO4] un minerale mai trovato prima in una roccia terrestre contenente l’1,4% di acqua. La ringwoodite deriva dalla trasformazione dell’olivina in condizioni di alta pressione. L’olivina è il minerale più abbondante nella parte superiore del mantello e assorbe l’acqua come una spugna.
La scoperta del 2014 suggeriva quindi che il diamante contenente quel minerale provenisse da circa 525 a 660 km sotto la superficie e anche che a quelle profondità potesse esserci un vasto accumulo di acqua (non allo stato liquido ma sotto forma di ioni idrossido) nel mantello.
Tornando al 2022 un nuovo studio, pubblicato su «Nature Geoscience» e guidato da Tingting Gu, oggi docente presso il Dipartimento Earth, Atmospheric, and Planetary Sciences (EAPS) della Purdue University (USA) e da Fabrizio Nestola, Professore ordinario del Dipartimento di Geoscienze dell’Università di Padova, aggiunge ora un contributo fondamentale alla comprensione dei segreti della Terra profonda.
Tutto è iniziato a New York quando un diamante da 1.5 carati sarebbe potuto finire nell’anello di fidanzamento di qualcuno se Tingting Gu, una gemmologa che all’epoca lavorava al Gemological Institute of America, non avesse notato e analizzato un’inclusione multifase al microscopio e mediante spettroscopia Raman.
Per confermare la prima identificazione dei minerali nell’inclusione, il diamante è stato poi inviato al Dipartimento di Geoscienze dell’Università di Padova e di Scienze della Terra e dell’Ambiente dell’Università di Pavia (Italia) dove il Prof. Fabrizio Nestola, il Prof. Matteo Alvaro e i loro gruppi di ricerca hanno effettuato speciali analisi mediante diffrazione a raggi X che hanno confermato quanto osservato con la spettroscopia Raman ossia il ritrovamento per la prima di ringwoodite coesistente con periclasio [(Mg,Fe)O] ed enstatite [(Mg,Fe)SiO3].
Comunemente si suppone che l’enstatite sia il prodotto della retro-trasformazione della bridgmanite, il minerale più abbondante sulla Terra. L’associazione ringwoodite-ferropericlasio-enstatite in questo diamante può essersi formata sul confine effettivo tra la zona di transizione e il mantello inferiore a 660 km di profondità, perché al di sotto dei 660 chilometri la ringwoodite non è più un minerale stabile e si trasforma in bridgmanite e ferropericlasio.
Il diamante studiato in questa pubblicazione fornisce quindi un’immagine diretta di una delle regioni più misteriose e cruciali del nostro Pianeta.
Questo lavoro ha avuto anche un contributo scientifico cruciale da parte di Frank Brenker (Università di Francoforte), Wuyi Wang (GIA) e John Fournelle (Università del Wisconsin, Madison).
*Hydrous peridotitic fragments of Earth’s mantle 660 km discontinuity sampled by a diamond
Autori: Tingting Gu, Martha G. Pamato, Davide Novella, Matteo Alvaro, John Fournelle, Frank E. Brenker, Wuyi Wang, Fabrizio Nestola