A chi di noi non è capitato di incontrare qualcuno che ci saluta, ci sorride, ma noi proprio non sappiamo ricordare chi sia? Eppure magari lo conosciamo benissimo! A volte è solo distrazione o l’effetto “persona-fuori-contesto”, ma per alcune persone è costantemente così: da sempre, i volti appaiono loro come poco distinguibili l’uno dall’altro, di fatto, irriconoscibili.

Questo disturbo, noto come prosopagnosia (dal greco prosopon = volto e gnosis = conoscenza, con il prefisso “a” a indicare la mancanza di conoscenza), può risultare da lesioni cerebrali, ma in molti casi è presente fin dalla nascita in assenza di traumi. Di questa forma congenita pare soffra il 2.5 % della popolazione, inclusi casi noti come il neurologo Oliver Sacks, che ne ha esemplarmente parlato in uno dei suoi libri, o lo scrittore italiano Luciano De Crescenzo (o anche, si dice, l’attore Brad Pitt).

Una persona prosopagnosica riconosce che un volto è maschile o femminile, giovane o vecchio, così come ne distingue l’etnia e la bellezza, ma non riesce a riconoscere quel volto se lo rivede. È come se avesse perso la chiave per decifrarne l’identità. In casi gravi, questo accade anche per il volto di persone vicine, quali il volto del fidanzato, o del proprio figlio, o perfino del proprio volto riflesso allo specchio! Spesso per queste persone anche guardare un film ha poco senso, perché non riescono a mantenere in memoria l’identità dei personaggi, e quindi a seguire la trama della storia. Le persone affette da prosopagnosia sono solitamente però molto abili a compensare queste difficoltà – di cui spesso non sono nemmeno consapevoli, “convivendoci” da sempre – servendosi di altri indizi per riconoscere gli altri, come la voce, il modo di muoversi o gesticolare, il modo di portare i capelli, il tipo di abbigliamento, o il contesto in cui si trovano (dove quindi si aspettano di vedere o non vedere certe persone).

Questo disturbo è stato documentato anche in membri della stessa famiglia, da qui l’ipotesi che esso possa essere in qualche misura ereditario. Ipotesi appunto, fino a ora. È di questi giorni infatti la notifica della pubblicazione sulla rivista Neuroscience del primo studio sulla prosopagnosia che integra due importanti discipline scientifiche, la Psicologia e la Genetica. I risultati dello studio, condotto da un team di giovani psicologhe e genetiste/i sotto la guida delle neuropsicologhe Dr.ssa Zaira Cattaneo (Dipartimento di Psicologia, Università Milano-Bicocca e IRCCS C. Mondino, Pavia) e Prof.ssa Roberta Daini (Dipartimento di Psicologia, Università di Milano-Bicocca) e del genetista Dr. Sergio Comincini (Dipartimento di Biologia e Biotecnologie, Università di Pavia), hanno evidenziato un possibile contributo genetico al disturbo comportamentale nella prosopagnosia congenita. Il gene chiave indentificato dal lavoro scientifico è il recettore di un piccolo ormone peptidico – l’ossitocina – che controlla importanti ambiti fisiologici e cognitivi. Il recettore dell’ossitocina ha mostrato alcune variazioni nucleotidiche (polimorfismi del DNA, o SNP) associate a differenti quadri di gravità nel riconoscimento facciale in un gruppo di prosopagnosici accuratamente selezionati ai fini dello studio.

Gli autori sottolineano il carattere pioneristico e innovativo di questo studio di genetica comportamentale, che fa luce sulla base molecolare e quindi fisiologica di un disturbo molto complesso, contribuendo a decifrare l’interazione tra genoma e ambiente.

Link al lavoro in press https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/27693815