La Romagna collinare e montana ha un nuovo primato: è tra le zone più ricche se non la più ricca di “antiche” varietà agricole tradizionali del nord Italia. Questo è il risultato di vari anni di indagini svolte dall’Università di Pavia che con la sua banca dei semi già varie volte si è occupata della Romagna collinare e montana, così come dell’intero Parco nazionale delle Foreste Casentinesi di cui questi territori fanno parte.
Questa ricchezza in agro-biodiversità tradizionale ora è documentata e disponibile per la conoscenza di tutti, grazie a un libro, appena stampato a cura del Parco stesso, “Varietà ortive e cerealicole del Parco Nazionale e del GAL L’altra Romagna”, reso possibile grazie a un progetto pluriennale cofinanziato dal GAL, Gruppo di Azione Locale, che ha sede a Sarsina e che interessa 21 comuni montani, nelle province di Forlì-Cesena e Ravenna.
Ma perché una tale e tanta ricchezza? La montagna è più conservativa della pianura quanto a ricchezza in biodiversità in generale e anche delle piante selezionate e coltivate largamente coltivate un tempo in ampi territori, anche di pianura; qui però sono scomparse quasi ovunque, sostituite da ibridi moderni.
In montagna, data anche la sua variabilità e asprezza topografica, permangono spesso in zone sia pur limitate, magari in orti famigliari o poco più, legate a piccole produzioni a uso personale, continuando una tradizione che in genere è stata tramandata di padre in figlio, con la propria semente. Una biodiversità quindi sopravvissuta ai ritmi e abitudini del mondo moderno, in cui ormai nessuno “perde più tempo” a tenere i semi e tanto meno a far crescere in semenzaio le nuove piantine.
Girando per orti tra le colline di queste zone invece si possono ancora trovare ricche raccolte di pomodori ben diversi tra loro, “fuori commercio”, con sapori intensi e interessanti, ma anche mais per fare un po’ di farina da polenta, e ancora fagioli dai colori e forme bizzarre, zucche, fave, ceci, ecc.
Ora tutto ciò viene narrato per tipologia di prodotto nel nuovo libro a cura di un gruppo di sette ricercatori che ha lavorato per far emergere questo mondo, a rischio di estinzione. Oltre tre anni di lavoro, molto trascorso in campo visitando le aziende agricole presenti sul territorio intervistando abitanti e agricoltori, alla ricerca di questi “semi e varietà perdute” e oggi ritrovate.
I ricercatori sono Graziano Rossi (Università di Pavia, Dipartimento di Scienze della Terra e dell’Ambiente), Stefano Tempesti (Geografo, già borsista all’Università di Pavia), Adriano Ravasio (Università di Pavia, Dipartimento di Scienze della Terra e dell’Ambiente), Nicola Ardenghi (Università di Pavia, Orto Botanico), Davide Alberti (Parco Nazionale Foreste Casentinesi), Marco Canella (Naturalista Agrotecnico) e Marisa Fontana (Tecnico agrario).
Il saggio contiene testimonianze di coltura e cultura locale, ma anche descrizioni dettagliate, in una sorta di catalogo, rivelando tante storie di persone appassionate di queste colture, spesso anziani, che hanno ereditato i loro semi e continuano questa tradizione, piacevole.
Per essere sicuri che questo patrimonio non resti solo “immateriale”, documentario, c’è ora anche una raccolta di semi che durerà nel tempo, come minimo varie decine di anni, racchiusi in una speciale banca dei semi, all’Università di Pavia (www.labecove.it).
Copia della pubblicazione è disponibile contattando gli uffici del Parco:
ufficiopromozione@parcoforestecasentinesi.it (tel. 0543/971375).
Link:
http://www.parcoforestecasentinesi.it/sites/default/files/PUBBLICAZIONE%20CULTIVAR.pdf
https://www.parcoforestecasentinesi.it/it/vivi-il-parco/storia-e-tradizioni/antiche-cultivar