È ben noto che una delle linee di ricerca più produttive nel campo degli studi letterari ha come cardine l’analisi dei modelli e delle fonti di un autore.
Concetti come arte allusiva (G. PASQUALI, 1942), memoria dei poeti (G.B. CONTE, 1974) o come le coppie intertestualità-interdiscorsività (C. SEGRE, 1984) e allusione-intertestualità (P.V. MENGALDO, 2015) fanno parte – insieme con la tassonomia genettiana (G. GENETTE, Palimpsestes, 1982) – della strumentazione critica e del retroterra teorico ormai indispensabili.
La letteratura italiana risulta un campo particolarmente produttivo per questo ambito ermeneutico, dal momento che ha mantenuto per secoli, e in alcuni casi mantiene ancora, una fisionomia fortemente conservativa, profondamente radicata nel recupero e nel riuso della tradizione. Dalla precoce consacrazione delle Tre Corone alla canonizzazione petrarchesca nel XVI secolo, passando per l’impronta pascoliana e dannunziana che ha ispirato tanta poesia novecentesca, ogni epoca, ogni secolo, ogni autore ha di fatto recuperato un tassello del passato per trovare la propria voce.
Spesso questi debiti sono palesi, e allora risulta facile riconoscerne il sostrato, la fonte, l’ipotesto; in altri casi, invece, il riferimento si fa «opaco entro il testo», venendo taciuto, dissimulato e finanche negato: alla citazione esplicita e letterale si contrappone così un’allusione implicita che «impegna il lettore in uno sforzo interpretativo o in un atto di memoria» (P.V. MENGALDO, cit.).
Non mancano gli esempi. Basti pensare al caso dantesco: nonostante l’iconografia da Sommo Poeta e l’etichetta di Padre della lingua italiana, a cui il centenario ancora in corso ha fatto da cassa di risonanza, non sempre Dante ha occupato un posto di preminenza nel panorama letterario italiano. Già nel XIV secolo una parte della sua produzione fu, infatti, se non apertamente osteggiata, almeno coperta da un velo di assenza: alludiamo qui alla scarsa fortuna trecentesca del Convivio, al dissidio esiziale col primo amico Guido Cavalcanti, oppure allo strenuo antidantismo di Cecco d’Ascoli. Tanto celebre quanto esemplare è poi il caso di Petrarca, autore che programmaticamente dichiara una strenua indipendenza dal modello dantesco, anche quando la sua presenza è evidente. E ancora si ricordi il Seicento, a lungo definito il secolo senza Dante, o il primo Settecento arcadico, diffidente nei confronti dell’opera dantesca e della sua oscurità (L.A. MURATORI, Della perfetta poesia italiana).
Spostandoci nel Cinquecento, in un secolo in bilico tra classicismo e sperimentalismo, Lodovico Dolce e Pietro Aretino sembrano restii a dichiarare apertamente i propri debiti nei confronti – ad esempio – di un autore come Terenzio che, pur fornendo con evidenza la materia narrativa delle commedie, viene citato solo attraverso frasi allusive, quali: «I vecchi sono eunuchi del tempo» (P. ARETINO, La Talanta) o «Un simil modo di uccellare una donna avara ricordami aver già letto» (L. DOLCE, Fabritia). Nella stessa epoca, agli antipodi di questa sprezzatura, il bizzarro letterato Anton Francesco Doni constata invece la necessità per ogni scrittore di mettersi davanti «una soma di libri» (A.F. DONI, La seconda libraria) prima di comporre opere proprie, elevando dunque la riscrittura – e talvolta il plagio – a valida norma di poetica.
Approdando infine al Novecento, appaiono emblematiche le critiche riguardanti i plagi dannunziani scatenate nel 1896 dagli interventi di Enrico Thovez e durate almeno fino all’Antidannunziana di Gian Pietro Lucini del 1914: al di là dell’intento polemico, queste denunciano un rapporto tutt’altro che limpido del poeta pescarese con le sue fonti.
A partire da questi spunti, le dottorande e i dottorandi del curriculum di Filologia moderna del dottorato in Scienze del testo letterario e musicale dell’Università degli Studi di Pavia propongono un convegno dedicato al tema delle assenze e delle persistenze – più o meno mascherate – di autori, autrici e testi nell’opera altrui. Un convegno che invita a riflettere sulle ambiguità della ricezione, sui prelievi in filigrana, sull’intertestualità laterale, implicita, criptica ma non per questo meno viva e feconda.
Si suggeriscono, pertanto, i seguenti spunti di indagine:
- assenze e persistenze: studi, analisi ed esemplificazioni delle sorti alterne di autori all’interno del canone letterario dal Medioevo a oggi;
- studio della lingua, dello stile, delle forme di opere letterarie che, dalle origini alla contemporaneità, presentano rapporti ambigui o comunque non lineari con i propri modelli;
- allusioni, parodie, plagi, riscritture e manipolazioni nella storia della letteratura italiana;
- tradizione e traduzione: le reminiscenze della letteratura italiana attivate nelle traduzioni;
- riflessioni su autori, autrici e opere che programmaticamente rifiutano il modello prevalente nella loro epoca;
- assenze e persistenze nella letteratura teatrale;
- riflessioni di natura teorica sull’intertestualità.
Il convegno rappresenta il quarto appuntamento della ormai consolidata serie di conferenze organizzate da allievi e allieve del curriculum di Filologia moderna del dottorato in Scienze del testo letterario e musicale dell’Università degli Studi di Pavia. Il convegno dovrebbe tenersi in presenza a Pavia nell’aprile 2022, e sarà presumibilmente strutturato in due giornate, introdotte ciascuna da un keynote speech, presso le aule storiche dell’Università.
Dottorandi/e e giovani ricercatori/ricercatrici sono cordialmente invitati/e a partecipare con un intervento originale e inedito di circa 20 minuti.
Le persone interessate possono inviare un abstract di non più di 300 parole e una breve nota bio-bibliografica (nome, cognome, affiliazione accademica e contatti) all’indirizzo dottorandi.fm@unipv.it entro il 30 gennaio 2022.
Le proposte verranno valutate e selezionate indicativamente entro la fine di febbraio.
È prevista la pubblicazione degli atti.
Il comitato organizzativo
Docenti: Giuseppe Antonelli, Pietro Benzoni, Alberto Conte, Federico Francucci, Gianfranca Lavezzi, Giorgio Panizza, Rossano Pestarino, Donato Pirovano, Federica Villa e Mirko Volpi
Dottorandi/e: Noemi Nagy, Irene Soldati, Lies Verbaere e Raffaele Vitolo