Sabato 23 febbraio 2019, dalle ore 8.15, presso l’Università di Pavia si terrà il convegno medico scientifico “Le ali nel cuore”. Tema dell’incontro “Aritmie, scompenso cardiaco, cardiopatia ischemica a confronto”.

Il convegno è dedicato ai medici di medicina generale e a tutti gli specialisti: cardiologi, internisti, endocrinologi, angiologi, gerontologi, ematologi, anestesisti rianimatori e agli infermieri per identificare linee cliniche e piani di trattamento comuni.

Alle ore 21.00, presso il Teatro Fraschini di Pavia, si terrà uno spettacolo di danza “Il maleficio” (Locandina)

Gli eventi sono finalizzati a raccogliere fondi per l’Associazione che presso il Dosso Verde di  Pavia si occupa dell’assistenza dei bambini e dei giovani portatori di autismo.

A distanza di oltre 6 anni dalla pubblicazione del primo trial clinico randomizzato sull’impiego dei nuovi anticoagulanti orali (NAO) per la prevenzione del tromboembolismo nella fibrillazione atriale (FA), a fronte di efficacia e sicurezza ampiamente dimostrate, i NAO nel nostro Paese stentano a decollare per timori ancora diffusi da parte dei clinici e per vincoli burocratici nella prescrizione. Eppure i NAO rappresentano uno dei più significativi avanzamenti della farmacologia degli ultimi anni, attesi da tempo per superare i noti limiti dell’anticoagulazione con warfarin. Sia l’inibitore diretto orale della trombina (dabigatran), che gli inibitori del fattore X attivato (rivaroxaban, apixaban, edoxaban) negli studi di fase III sono risultati almeno non inferiori, se non superiori, al warfarin nella riduzione dell’ictus e delle embolie sistemiche nei pazienti affetti da FA. Ma la peculiarità che più li contraddistingue è nella sicurezza d’impiego, con una significativa riduzione del rischio emorragico, in particolare dei sanguinamenti intracranici. Eccetto che con apixaban, è stato osservato un incremento dei sanguinamenti gastrointestinali, ma complessivamente i NAO hanno dimostrato un trend di riduzione della mortalità con tassi simili a quelli del warfarin. E sulla base di questi dati le più recenti linee guida della Società Europea di Cardiologia, pur lasciando discrezionalità di scelta prescrittiva, favoriscono l’impiego dei NAO in sostituzione del warfarin nella maggior parte dei pazienti affetti da FA con CHA2DS2-VASc score ≥17. Nonostante i dati confortanti provenienti dalla letteratura, la maneggevolezza d’uso e un sostanziale risparmio per il Servizio Sanitario Nazionale, in Italia la scena dell’anticoagulazione è ancora in parte dominata dal vecchio warfarin.

Lo scompenso cardiaco colpisce quasi un milione di italiani, causa 190mila ricoveri l’anno. Determina una mortalità annua del 10%. Non ha conosciuto l’arrivo di nuovi farmaci da oltre 15 anni. Stiamo parlando di una sindrome che costituisce l’esito di varie affezioni cardiologiche, ad esempio l’ischemia cardiaca o l’ipertensione arteriosa, patologie che possono determinare una progressiva perdita della capacità del cuore di pompare sangue o di svuotarsi completamente. Possiamo parlare della prima novità sullo scompenso cardiaco da 15 anni a questa parte. Gli ARNI sono farmaci che vanno ad amplificare la funzione di sistemi neuro-ormonali in grado di produrre benefici clinici a lungo termine. Il sistema di cui si vuole amplificare la funzione è quello dei peptidi natriuretici atriali. I peptidi natriuretici hanno una serie di effetti postivi: a livello del sistema nervoso (inibizione del sistema nervoso simpatico); a livello cardiaco (inibizione dell’ipertrofia e della fibrosi ventricolare); a livello vascolare (rilasciamento della muscolatura liscia dei vasi, riduzione delle resistenza periferiche e riduzione del volume circolante); a livello renale (aumento dell’escrezione di sodio e della diuresi, riduzione di sintesi della renina); a livello dei surreni (inibizione della sintesi di aldosterone); a livello polmonare (broncodilatazione).

La cardiopatia ischemica rappresenta tutt’ora la causa di morte più frequente nel mondo occidentale. Lo scenario della malattia, a causa delle misure di prevenzione e dell’avanzamento delle cure, è tuttavia sostanzialmente variato, registrandosi oggi la maggioranza degli eventi (fatali e non-fatali) nelle fasce d’età più avanzata.

Il trattamento delle manifestazioni acute della cardiopatia ischemica, diretto ad antagonizzare farmacologicamente o meccanicamente le conseguenze della trombosi coronarica, ha raggiunto elevata efficacia così da portare a una significativa riduzione della mortalità. Ciò anche grazie agli sforzi che sono stati fatti e che si stanno tuttora facendo riguardo la possibilità di identificare sempre più precisamente e rapidamente i soggetti che hanno infarto miocardico in atto tra coloro che potrebbero averlo perché allertano il sistema dell’urgenza a fronte di sintomi sospetti.

Tuttavia, proprio il cambiamento dell’approccio diagnostico e terapeutico alla fase acuta della malattia ne ha messo in discussione la patogenesi invariabilmente trombotica. Talora l’infarto miocardico infatti si manifesta in assenza di lesioni ostruttive coronariche visibili alla coronarografia, ma non per questo la prognosi a lungo termine è benigna. Restano inoltre aperti numerosi quesiti circa il trattamento ottimale dei pazienti più “difficili”, come ad esempio quelli che necessitano di concomitante terapia anticoagulante orale a causa della presenza o della comparsa di fibrillazione atriale. Proprio la miglior comprensione dei meccanismi patologici comuni a fibrillazione atriale e malattia coronarica sta rendendo possibile un nuovo approccio terapeutico a lungo termine delle patologie aterotrombotiche.

Al tempo stesso si stanno facendo importanti progressi riguardanti il trattamento ottimale di alcuni sotto-gruppi di pazienti con cardiopatia ischemica, soprattutto quelli che hanno manifestazioni stabili della malattia e quelli che al contrario giungono in ospedale nelle condizioni più drammatiche, ovvero in stato di shock cardiogeno. Nei primi l’approccio di cura più vantaggioso, ovvero farmacologico o basato prevalentemente sulla rivascolarizzazione coronarica (percutanea o chirurgica), è ancora oggetto di accesa discussione. Nei secondi la linea di trattamento più efficace al fine di salvarne la vita si sta progressivamente delineando grazie a nuovi approcci di rivascolarizzazione coronarica e di assistenza al circolo.

L’obiettivo del percorso formativo è quello di analizzare i dati attualmente disponibili con la condivisione e la determina di un protocollo d’analisi comune con cui condividere il miglior trattamento terapeutico per un determinato target di pazienti creando un forte legame tra il territorio e i centri ospedalieri da cui il coinvolgimento di tutte le figure mediche che condividono la cura del paziente.

In allegato il programma completo:

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