Recentemente si è letto di pianeti completamente costituiti di diamanti e di pioggia di diamanti su Urano e Nettuno. La possibilità di individuare diamanti (grandi e grandissimi) nello spazio più profondo è sempre stata considerata una romantica leggenda ed effettivamente la presenza di pianeti di diamanti deve essere ancora scientificamente dimostrata. Tuttavia, è ben noto che la presenza di diamanti extraterrestri è stata verificata in diverse occasioni in quanto queste gemme preziose si rinvengono di tanto in tanto all’interno di speciali meteoriti. Ma le dimensioni di tali diamanti nelle meteoriti sono davvero molto limitate e rimane per ora un’utopia quella di poter vedere un giorno un diamante meteoritico montato su di un sontuoso solitario.

Alcuni articoli scientifici pubblicati recentemente da scienziati svizzeri, francesi, tedeschi, giapponesi e cinesi nel 2015 e 2018 (Nabiei et al. 2018 e Miyahara et al. 2015) hanno riportato all’interno di una famosa meteorite (rinvenuta in Sudan e chiamata Almahata Sitta dall’arabo “Stazione numero 7”) diamanti di “grandi dimensioni”. Tali diamanti raggiungerebbero un decimo di millimetro.

Microfotografia della meteorite denominata NWA 7983 che mostra aree costituite da diamante e grafite (aree scure in figura), aree costituite da minerali silicatici a magnesio-ferro-calcio (foto: Oliver Christ) e aree costituite da ferro metallico (aree molto chiare). L’intera immagine ha dimensioni circa 2.5 mm per 1.5 mm.

Effettivamente, tali dimensioni sembrano essere davvero molto elevate se consideriamo che proprio fino al 2018-2019 i diamanti nelle meteoriti erano stati ritrovati solo fino alla scala dei nanometri (1 nanometro = 1 miliardesimo di metro) e sino ad ora si era ritenuto che tali dimensioni fossero legate alla trasformazione da grafite a diamante a causa di un grande impatto (impatto da shock) subito dai corpi planetari genitori delle meteoriti. Più nel dettaglio, si riteneva che un corpo planetario che presentasse al suo interno della grafite, una volta subito un grande impatto con un altro corpo potesse trasformare la grafite direttamente in diamante a causa del forte aumento improvviso di pressione e temperatura.

Gli scienziati che hanno invece trovato i diamanti fino ad un decimo di millimetro (ricordiamo che un diamante di un decimo di millimetro è circa 100 mila volte più grande di un diamante di 1 nanometro) hanno ipotizzato che diamanti di tali dimensioni possano essersi formati direttamente nelle profondità di un pianeta di dimensioni simili a quelle di Marte o Mercurio (circa 6800 e 4900 km di diametro, rispettivamente, rispetto ai circa 12700 km di diametro della Terra). Il pianeta all’interno del quale si sarebbero formati tali diamanti sarebbe andato completamente distrutto e quindi oggi non ne avremmo più evidenza. A questo punto, nella comunità scientifica focalizzata sullo studio delle meteoriti e del sistema solare si è venuto a creare un dibattito molto acceso sulla reale origine dei diamanti extraterrestri: i diamanti nelle meteoriti si sono formati dalla trasformazione della grafite a causa di forti impatti nello spazio o si sono formati all’interno di pianeti di grandi dimensioni non più esistenti nel sistema solare?

Hanno cercato di dare una risposta a tale domanda i gruppi di ricerca coordinati dal Prof. Nestola (Dipartimento di Geoscienze, Università di Padova) e dalla Prof.ssa Domeneghetti (Dipartimento di Scienze della Terra e dell’Ambiente, Università di Pavia) in collaborazione con la Dr.ssa Cyrena Goodrich (Lunar and Planetary Institute, Houston), il Prof. Brenker (Università di Francoforte), la Dr.ssa Fioretti (Istituto di Geoscienze e Georisorse del CNR) e il Prof. Litasov (Vereshchagin Institute for High Pressure Physics, Mosca) studiando le stesse meteoriti in cui sono stati trovati i cosiddetti diamanti “grandi” mediante tecniche di indagine a raggi X mai utilizzate prima su tali tipologie di campioni.

I due gruppi di ricerca, finanziati dal Programma Nazionale di Ricerche in Antartide (PNRA18-00247-A), hanno individuato, per la prima volta, la simultanea presenza di diamanti “grandi” (fino a 0.10 mm), diamanti nanometrici, grafite nanometrica, leghe ferro-nickel, carburi di ferro e fosforo. Inoltre, l’analisi dei silicati presenti come matrice delle fasi ricche in carbonio (vedi Figura) indica senza alcun dubbio che le meteoriti abbiano subito pressioni dovute ad un evento da shock non inferiori a 15 GPa (si ricorda che una pressione di 1 GPa corrisponde alla pressione esercitata da una colonna di roccia alta circa 30 km).

Tale scoperta pone seri dubbi sulla recente interpretazione che indicherebbe che diamanti di grandi dimensioni presenti in queste meteoriti sarebbero cresciuti all’interno di un pianeta grande come Marte o Mercurio oggi non più esistente: infatti, secondo il gruppo di ricerca internazionale, i diamanti (sia quelli più grandi che quelli nanometrici) si sarebbero formati dalla trasformazione diretta della grafite a causa di un forte impatto. Tuttavia, è ben noto che la trasformazione diretta di grafite in diamante a causa di un impatto può avvenire solo se si è in presenza di pressioni molto più elevate dei 15 GPa (fino a 60-70 GPa) riportate da Nestola e coautori nel loro studio. Gli scienziati spiegano tale apparente incongruenza attraverso il ruolo che gioca il ferro metallico proprio nella cristallizzazione del diamante: è stato dimostrato in molti casi che in laboratorio è possibile sintetizzare diamante direttamente da grafite e tale sintesi è certamente molto più veloce se alla “ricetta” di partenza si aggiunge anche ferro metallico, che ha un vero e proprio effetto catalizzatore. Nestola e coautori hanno ipotizzato che proprio la presenza di ferro metallico all’interno delle associazioni a carbonio abbia definitivamente aiutato a far crescere il diamante fino alle dimensioni di almeno 0.1 mm. Inoltre gli autori della ricerca ipotizzano che il corpo planetario genitore delle meteoriti studiate potrebbe aver subito un impatto piuttosto lungo (4-5 secondi), ulteriore parametro che avrebbe “aiutato” la crescita del diamante a pressioni relativamente basse.

La scoperta del Prof. Nestola e dei suoi collaboratori potrà essere estesa in futuro a tutte le meteoriti contenenti diamanti per testare in modo definitivo l’origine da shock dei diamanti extraterrestri.

Link alla ricerca: Autori: Nestola F., Goodrich A.C., Morana M., Barbaro A., Jakubek R.S., Christ O., Brenker F., Domeneghetti M.C., Dalconi M.C., Alvaro M., Fioretti A.M., Litasov K.D., Fries M.D., Leoni M., Casati N.P., Jenniskens P., Shaddad M.H. (2020) Proceedings of National Academy of Sciences, USA, doi: 10.1073/pnas.1919067117 – https://www.pnas.org/content/early/2020/09/22/1919067117

Titolo: Impact shock origin of diamonds in ureilite meteorites.

[Nell’immagine: Il gruppo del Dipartimento di Scienze della Terra e dell’Ambiente dell’Università di Pavia. Prof. Maria Chiara Domeneghetti, Prof. Matteo Alvaro, Marta Morana e Anna Barbaro]

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