Importante scoperta del gruppo di ricerca diretto dal Prof. Massimiliano Gnecchi nel campo delle aritmie maligne. Lo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista European Heart Journal, la più importante rivista scientifica internazionale nel settore della cardiologia, pone le basi per una possibile nuova terapia farmacologica per il trattamento di pazienti affetti da sindrome del QT lungo.

Il Prof. Massimiliano Gnecchi, membro del Dipartimento di Medicina Molecolare dell’Università degli studi di Pavia e responsabile del Laboratorio di Cardiologia Sperimentale del Policlinico San Matteo, ha coordinato un team internazionale di ricercatori insieme al Prof. Winston Shim del National Heart Center di Singapore. La collaborazione è stata possibile grazie a un accordo formale tra l’Università di Pavia e l’Università di Singapore promosso dal Prof. Gnecchi. Al progetto hanno partecipato anche il Prof. Peter Schwartz e la Prof.ssa Crotti dell’Istituto Auxologico Italiano di Milano.

Lo studio suggerisce che il Lumacaftor, un farmaco attualmente in uso per la cura di una patologia polmonare, sarebbe in grado di prevenire aritmie maligne in pazienti affetti appunto da sindrome del QT lungo. I risultati sono stati ottenuti utilizzando una tecnologia all’avanguardia, quella delle cellule staminali pluripotenti indotte, che consiste nel generare in laboratorio cellule staminali pluripotenti in grado a loro volta di differenziare in cardiomiociti, le cellule che costituiscono il cuore.

“Partendo da cellule della pelle prelevate con una semplice biopsia cutanea – spiega il Prof. Gnecchi – siamo oggi in grado di generare in laboratorio cellule cardiache che possono essere utilizzate per studiare le cause che portano il cuore ad ammalarsi o per verificare l’efficacia di nuovi farmaci. Questa tecnologia permette oggi di effettuare studi impensabili solo pochi anni fa. Nel nostro caso abbiamo generato cellule cardiache da cinque pazienti affetti da sindrome del QT lungo, una rara ma pericolosa malattia genetica che può portare a morte per arresto cardiaco sin dai primi anni di vita, e dimostrato che il Lumacaftor è in grado di normalizzare l’anomalia elettrica che caratterizza la patologia e ridurre il rischio aritmico in modo significativamente più efficace rispetto ai farmaci attualmente utilizzati per il trattamento di questi pazienti. I nostri dati dovranno essere confermati nei pazienti prima di poter trarre conclusioni definitive. Per questo motivo, richiederemo presto l’autorizzazione al Ministero della Salute per poter valutare gli effetti di questo farmaco nei nostri pazienti”.

Lo studio è importante, oltre che il possibile impatto sulla cura di questa categoria di malati, perché è un innovativo esempio di medicina personalizzata, in cui s’identifica una cura specifica per uno specifico difetto genetico. “È la così detta medicina di precisione – commenta il Prof. Gnecchi – che ha come finalità quella di poter essere molto specifici nel trattamento dei nostri pazienti. L’obiettivo è di non somministrare a tutti i malati le stesse medicine, ma di curarli con una terapia che vada bene per il loro specifico difetto. Inoltre, lo studio in oggetto ha il vantaggio di aver utilizzato un farmaco già in commercio anche se per la cura di una patologia differente. Scoprire nuove indicazioni d’uso per farmaci il cui profilo di sicurezza è già noto permette di evitare lunghi e dispendiosi studi clinici ed è una pratica incoraggiata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e dal Ministero della Salute”.

È stato possibile effettuare uno studio così complicato solo grazie all’interazione tra ricercatori di base e cardiologi clinici esperti in materia: “Con questo studio compiamo un salto nel futuro delle cure mediche individualizzate. Applicare le nuove tecnologie alla cura del paziente è una sfida che può essere correttamente affrontata solo da ospedali universitari come il Policlinico San Matteo, in cui esiste l’indispensabile multidisciplinarietà e ci sono medici in grado di integrare le nuove scoperte con il bagaglio di conoscenze di patologie complesse, anche quelle rare” puntualizza il Prof. De Ferrari, anch’egli membro del Dipartimento di Medicina Molecolare e direttore dell’Unità Coronarica del Policlinico San Matteo.

Il gruppo del Prof. Gnecchi è uno dei pochi in Italia a effettuare questo tipo di studi e la ricerca appena pubblicata è il primo esempio al mondo di nuova terapia farmacologica personalizzata per pazienti affetti da sindrome del QT lungo tipo 2 in cui sia stato saggiato un farmaco già in uso clinico. A conferma dell’importanza della scoperta pavese, la rivista ha proceduto alla pubblicazione dello studio in via prioritaria. L’articolo è stato inoltre segnalato all’attenzione dei lettori e accompagnato da un commentario di presentazione commissionato appositamente dalla rivista a esperti internazionali.

Negli ultimi mesi il gruppo del Prof. Gnecchi ha pubblicato altri due importanti studi, in cui mediante l’utilizzo della medesima tecnica sono stati identificati dei nuovi meccanismi alla base di alcune forme di sindrome del QT lungo. “Non utilizziamo questa tecnologia solo per la scoperta di nuove terapie, ma anche per comprendere meglio come la malattia si manifesti e cosa possa scatenare gli eventi aritmici. In questo modo saremo capaci di quantificare in modo più preciso il rischio corso dai nostri pazienti e di curarli meglio. Questa tipologia di studi apre davvero nuovi scenari e ci porta verso la medicina del futuro”.

“Siamo molto soddisfatti dei risultati ottenuti, che sono stati recentemente molto apprezzati anche dagli esperti del Ministero della Salute che hanno visitato il nostro Laboratorio nell’ambito dell’ispezione per confermare la condizione di Istituto di Ricerca e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS) del nostro Policlinico. Noi siamo orgogliosi di poter contribuire con il nostro lavoro a mantenere l’Università di Pavia e il Policlinico San Matteo ai livelli di eccellenza che meritano. È una grossa responsabilità ma anche un grande onore. Tutto ciò è reso possibile dal lavoro svolto con passione dai ricercatori che operano all’interno dei Laboratori e senza il cui contributo non sarebbe possibile ottenere questi risultati. In particolare – conclude Gnecchi – mi sento di dover ringraziare la Dott.ssa Mura, che ha avuto un ruolo fondamentale nel progetto, la Dott.ssa Pisano e la Dott.ssa Ciuffreda che da anni lavorano al mio fianco”.

*Nella foto di copertina: cardiomiocita.

**Nella seconda foto: il Prof. Massimiliano Gnecchi, membro del Dipartimento di Medicina Molecolare dell’Università degli studi di Pavia e responsabile del Laboratorio di Cardiologia Sperimentale del Policlinico San Matteo

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